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Cenacolo

L’ampio vano, con copertura a capriate lignee e bifore archiacute, oggi in parte tamponate, risale al XIV secolo ed è uno degli ambienti più antichi del complesso di Santo Spirito, l’unico che non ha subito interventi di ammodernamento. La vecchia chiesa, eretta dagli Eremiti di Sant’Agostino nella seconda metà del Duecento, fu distrutta nel 1471 da un incendio che risparmiò questo corpo di fabbrica, adibito a refettorio o cenacolo, luogo nel quale i frati consumavano insieme i loro pasti.

Il cenacolo dovette cadere in disuso alla fine del Cinquecento, a seguito della costruzione di un nuovo refettorio. All’inizio del XIX secolo vi era già la grande apertura, oggi tamponata, che ha causato la perdita della parte centrale della parete affrescata. Nel 1866 il complesso di Santo Spirito fu incamerato dallo Stato italiano che due anni dopo ne cedette al Comune di Firenze alcune parti, tra cui l’antico cenacolo. Nel 1894 questo venne affittato allo scultore Raffaello Romanelli che lo utilizzò come laboratorio e deposito dei suoi modelli in gesso. Dopo la morte dell’artista, il Comune cominciò a valutare l’opportunità di risanare l’ambiente e di adibirlo a museo. I lavori iniziarono nel 1936 e si conclusero tra il 1941 e il 1944, con il restauro del grande affresco, a cura di Amedeo Benini e dei suoi figli. Tutti i gessi del Romanelli vennero rimossi per fare posto alle opere che sarebbero state donate al Comune da Salvatore Romano.

La funzione originaria dell’ambiente è ricordata dall’affresco con la Crocifissione e una frammentaria Ultima Cena che occupa tutta la parete est. Questo refettorio e quello simile di Santa Croce sono i più antichi cenacoli fiorentini con scene dell’Ultima Cena, che associate alla Crocifissione, avevano la funzione di esortare i frati all’identificazione con il sacrificio di Cristo, preannunciato con l’istituzione dell’Eucarestia.

L’affresco venne eseguito da Andrea di Cione, detto l’Orcagna, con l’aiuto del fratello Nardo, presumibilmente tra il 1360 e il 1366. Alla metà del Trecento, l’Orcagna, seguace di Giotto, era a capo della più fiorente bottega artistica della città. Gli stemmi negli angoli inferiori della cornice attestano che l’opera fu commissionata dalla famiglia dei Cambi di Napoleone.

Nella scena della Crocifissione, che in origine si stagliava contro un cielo azzurro, il dramma di Cristo è evidenziato dal contrasto tra l’isolamento della sua imponente figura e la folla in abiti trecenteschi che si accalca ai piedi della croce, comprendente, da sinistra, Giuseppe di Arimatea a cavallo, le pie donne, Longino con la lancia (in parte perduta) e i soldati che si giocano le vesti di Gesù. Dell’Ultima Cena restano solo i santi Matteo e Taddeo e le aureole di altri due apostoli. Nelle edicole laterali compaiono i resti di una mitria, verosimilmente appartenente a sant’Agostino, e un santo agostiniano, forse identificabile con Nicola da Tolentino.

Nato nel 1875 a Meta di Sorrento (Napoli), figlio di un capitano marittimo e armatore di seconda generazione, Salvatore Romano scoprì il suo interesse per gli oggetti d’arte mentre studiava Ingegneria Navale a Genova. Rientrato a Napoli, si dedicò al commercio di violini, per poi passare alle opere d’arte e diventare in breve tempo un rinomato antiquario. Da Napoli si recava spesso a Firenze, meta privilegiata dei collezionisti e direttori dei musei stranieri dell’epoca, finché tra il 1920 e il 1924 non decise di trasferirsi definitivamente nel capoluogo toscano.

Salvatore Romano comprava antichità di ogni genere e di qualsiasi epoca, sebbene fosse particolarmente attratto dalla scultura e dai manufatti lapidei in generale. Trascorreva lunghi periodi in viaggio nelle regioni italiane per acquistare gli oggetti d’arte direttamente nei luoghi di origine e, a differenza di altri antiquari, tendeva a conservarli nello stato in cui li trovava. Le antichità spedite a Firenze dai luoghi di queste peregrinazioni spesso rimanevano a lungo chiuse in cassa nei suoi magazzini che solo pochi eletti potevano visitare. Nel 1939, divenuto, insieme al figlio Francesco, uno dei più importanti antiquari di Firenze, in contatto con eminenti studiosi d’arte e curatori di musei, Salvatore acquistò i primi due piani del palazzo Magnani Feroni in via dei Serragli per allestirvi il suo ingente patrimonio di oggetti antichi. Tra le collezioni che ospitano opere a lui appartenute figurano diversi importanti musei europei e americani.

La visita comincia dal lato dell’affresco, a fianco della porta.
L’ordine delle didascalie segue la numerazione data agli oggetti da Salvatore Romano nel 1946.
I luoghi di provenienza delle opere qui indicati corrispondono, di norma, a quelli comunicati da Salvatore Romano al momento della donazione della raccolta.

Pianta Fondazione Salvatore Romano
Didascalie
Didascalie

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